L’opera più grande di Antoni Gaudi? La sua vita, costruita sulla roccia della fede!
Quando si sente citare Antoni Gaudì, subito il pensiero corre alla Sagrada Familia e a tutte le altre splendide opere edificate dall’artista.
Personalmente, udire il nome di Gaudi, è come sentir nominare un amico, per il quale si prova grandissima stima e tenerezza. Le immagini dei suoi lavori scorrono davanti ai miei occhi solo secondariamente; prima mi viene da pensare all’uomo: alla sua infanzia, alla malattia, alla decisione di dedicarsi a Dio interamente e artisticamente.
Fin da bambino, Antoni soffrì di reumatismi che non lo lasciarono mai. Questa malattia lo isolò dai coetanei, eppure i periodi di solitudine forzata in campagna furono per lui non un limite bensì un’occasione: all’aperto osservava tutto con grande stupore, dagli animali alle piante, agli elementi naturali (ripresi nella sua produzione artistica); in questi momenti la sua osservazione si trasformava in contemplazione adorante: la natura, per lui, fu sempre una maestra, un libro che illustra continuamente l’immenso creato di Dio.
Durante uno dei suoi primi lavori, Gaudì incontrò una ragazza ma decise, alla fine, di donarsi anima e corpo a Dio, rimanendo celibe. Partecipava quotidianamente alla Messa e meditava le letture del Vangelo, era innamorato di Dio e di Gesù e coltivava una tenerissima venerazione per la Vergine Maria. Ebbe più volte a dire agli amici: «L’uomo senza religione è un uomo mutilato. Per far bene le cose ci vuole prima di tutto l’amore, solo dopo la tecnica.». Quando i collaboratori di Antoni lo incalzavano per terminare i lavori in breve tempo, egli rispondeva: «Il mio cliente non ha fretta» e per lui il suo unico cliente era nientemeno che Dio stesso!
Tutto ciò è evidente nelle sue opere d’arte, così come lo è il suo trattare il limite come un’opportunità. Per gli architetti la forza di gravità è sempre stata un ostacolo perché li costringe a costruire edifici tenendo presente dei paletti precisi, ad esempio contrafforti o archi che disperdono il peso verso il basso, ma che occupano anche parte dello spazio; invece Gaudì guardava alla gravità come qualcosa da cui imparare: se essa esiste allora è positiva e così pensò al metodo costruttivo della “catenaria”.
Altro punto certo di Antoni fu il valore del sacrificio, lui stesso disse, parlando dei lavori della Sagrada Familia: «Questo Tempio è un tempio espiatorio, questo significa che si nutre di sacrifici.» e ancora: «La vita è amore e l’amore è sacrificio. Se si osserva che una casa mostra della vitalità, è perché vi è qualcuno che si sacrifica.”.
Ci sarebbe tantissimo altro da raccontare su Gaudi: i digiuni, la vita casta e povera, l’amore per gli amici ecc, ma non basterebbe lo spazio! Perciò consiglio vivamente a tutti di documentarsi sulla vita di questo grande uomo e immenso artista.
Commento di Riccardo Pellei
Grazie all’ invito della prof Michela, insegnante di arte e francese, siamo andati a Cupra Marittima per una vedere una mostra dedicata ad Antoni Gaudì.
Inizialmente pensavo che, come al solito, sarebbe stata una mostra noiosa. Ma la mia opinione è cambiata appena siamo arrivati. La mostra era spiegata all’ interno di una piccola chiesa, tappezzata di pannelli su Gaudì, la sua vita e le sue opere.
La guida era mia zia Cristina che, al contrario delle solite guide, non era logorroica e rendeva la spiegazione scorrevole e avvincente.
Gaudì nasce a Barcellona nel 1852 e, per via di una malattia genetica ai polmoni, è costretto a vivere in campagna, dove si innamora della natura, uno dei temi che predilige.
A soli 31 anni viene incaricato della costruzione del tempio espiatorio “La Sacra Famiglia” che, però, non concluse a causa della sua morte improvvisa nel 1926.
Mi ha colpito molto la figura di Gaudì perché attribuisce al lavoro un significato ormai perso, cioè che con il lavoro si contribuisce all’ opera di Dio.

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