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Pace a voi! L’ incontro con due amici di ritorno dalla Terra Santa


Alcuni giorni fa abbiamo ricevuto una graditissima visita: Ettore Soranzo ed Enrico Tiozzo. Il primo ha vissuto un lungo periodo in Terra Santa ed è stato la nostra guida durante la gita della scuola Chesterton a Betlemme (https://www.scuolachesterton.org/post/uno-stupore-che-mi-ha-accompagnata-per-tutto-il-pellegrinaggio) alcuni anni fa;  Enrico è il presidente della Santa Caterina da Siena, un consorzio di cooperative per e con le quali da anni organizza viaggi in Terra Santa, a cui hanno preso parte anche alcuni professori.

Il legame con la comunità cristiana in Terra Santa è viva da anni, fatta di volti precisi, calorosa accoglienza e preghiera reciproca.

Ettore ed Enrico, sono andati a trovare i nostri amici palestinesi recentemente e sono venuti per condividere la loro esperienza con gli studenti della scuola.

Ettore, che è tornato a vivere in Italia alcuni anni fa, dopo l’attentato del 7 ottobre 2023, ha sentito l’urgenza di esprimere la sua vicinanza agli amici con i quali ha trascorso un importante periodo della vita, andandoli a trovare appena possibile il febbraio scorso. Quando è arrivato a Betlemme si è imbattuto in una realtà ancora più drammatica di quella immaginata. Il territorio di Gaza è distante chilometri ma l’orrore della guerra si vive nelle case, nei cuori degli amici cristiani della Terra Santa. Il dramma, il dolore di quello che accade dietro le porte di casa, l’angoscia che gli attacchi arrivino anche lì e la paura di uscire perché palestinesi, scuotono penosamente l’animo di chi vive in Terra Santa.

Cosa dire di fronte ad una situazione del genere? Le parole si strozzano in gola, sembrano tutte inadeguate, insufficienti. Così, di ritorno in Italia, Ettore racconta ad Enrico la pena di quel viaggio. Umanamente, verrebbe da abbattersi: "Piangi, piangi, che io piango con te". Gli uomini arrivano al massimo a condividere il dolore. Eppure, lo scuote l’amico, qualcosa da dire c’è. Nella storia Qualcuno ha detto ciò che noi, da soli, non possiamo dire: "Donna non piangere". L’episodio si trova nel Vangelo (Luca 7,11): “In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Il morto si mise seduto e cominciò a parlare.”. Gesù dice alla vedova che ha perso l’ unico figlio: “Non piangere!”. Non è nostro, questo ci viene detto da un altro punto e un altro orizzonte. Noi però lo possiamo dire perché lo ha detto Lui!

Allora Enrico e Ettore si incontrano per pensare a cosa fare.

Non è che l'unione fa la forza: non basta mettersi insieme, bisogna dire qualcosa di cristiano!

Ma bisogna preparare un gesto per poter dire ciò che c'è da dire, non si può improvvisare; come nelle liturgia, che esprime un gesto grande che noi non possiamo esprimere da soli. Ettore ed Enrico decidono così di ripartire, per offrire una parola di vera Speranza alla comunità cristiana in Terra Santa.

Portano gli amici alla cattedrale di Betlemme, che loro già conoscono bene ma il punto di vista stavolta è un altro. C’è lì un bellissimo mosaico, rappresenta la seconda apparizione di Gesù agli apostoli, tra loro anche san Tommaso, assente nella prima. Sopra il mosaico c'è una scritta: Pax vobis. Cosa significa? Vuol dire pace a voi, non piangete. Nel mosaico, gli apostoli hanno delle espressioni tristi, perché? Perché erano passati dei giorni dalla prima apparizione di Gesù e gli apostoli ne sentono la mancanza, il bisogno e desiderano averlo ancora tra loro. Finalmente, mentre in nostalgica attesa gli apostoli sono riuniti, Gesù torna e prende la mano di san Tommaso per fargli toccare il costato. Ecco, cosa vogliono dire Ettore ed Enrico, in quel momento di tribolazione i nostri amici sono come gli apostoli: rinchiusi, spaventati e tristi ma la risposta è la scritta sopra il mosaico, le parole che rivolge loro Gesù “Pax vobis”.

Ma non è finita. C’è un altro gesto, un dono: una meravigliosa stampa pensata per loro ed eseguita dall’artista Franco Vignazia. È la scena della prima apparizione di Gesù agli apostoli, che vengono dipinti con i volti degli amici palestinesi (si riconoscono subito nei personaggi); è  incredibile come la situazione che stanno vivendo sia simile a quella descritta dal passo del vangelo, riportato sotto l’illustrazione (Gv 20, 19-23): “Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. Coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.

“Pace a voi!”: quello che l'uomo desidera, ora Lui lo ha detto e noi, già duemila anni fa; poi Gesù aggiunse: "Come il padre ha mandato me anche io mando voi". Cosa vuol dire? Vuol dire “pace a voi” e "vi mando," cioè “vi do un compito”. Poi soffiò su di loro e gli disse di andare, di uscire fuori "a perdonare".

I nostri amici palestinesi si alzano ed escono, per il loro compito. Organizzano visite alla cattedrale per spiegare il mosaico, vanno nelle università a raccontare quello che era loro successo. Incontrano tutti: adulti, studenti, per testimoniare la fede, la speranza, il perdono.

Cosa rimane a noi, ai professori, agli studenti della scuola Chesterton dopo ciò che abbiamo ascoltato da Ettore e da Enrico? L’invito, rinnovato, di vivere con una misura che non è la nostra ma quella di Dio, vivere e testimoniare il compito che Ci ha dato: uscire, perdonare, amare e dare speranza perché in Lui, sì, si può dire: “Donna, non piangere!”.


Alexandra La Torre



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